Imposta Municipale Unica – IMU

LA IMPOSTA MUNICIPALE UNICA (IMU)

La Definizione L’IMU è una imposta diretta del sistema tributario italiano, in quanto avente come presupposto indici che rilevano direttamente la capacità contributiva di un soggetto come il patrimonio.
I Riferimenti normativi ·       Decreto Legislativo 30/12/1992 n. 504 (artt. 1-15): istituzione dell’ICI (Imposta Comunale sugli Immobili);

·       Decreto Legislativo 14/03/2011 n. 23 (artt. 8-9-14) pubblicato sulla G.U. n. 67 del 23 marzo 2011, che ne stabiliva la vigenza dal 2014 per gli immobili diversi dall’abitazione principale (art. 8, comma 2°, d.lgs. n. 23/2011);

·       Decreto Legge 06/12/2011 n.201 (art.13), convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 214 del 22 dicembre 2011;

·       Legge 24/12/2012 n. 228;

·       Legge 27/12/2013 n. 147;

·       Legge di stabilità 2016 (Legge 28 dicembre 2015, n. 208 – G.U. n. 302 del 30/12/2015, S.O. n. 70).

Il Presupposto di imposta Il presupposto di imposta (inteso quale fenomeno economico – atto o fatto – il cui verificarsi determina, direttamente o indirettamente, la nascita della obbligazione tributaria) è il possesso di beni immobili (fabbricati e terreni agricoli).
I soggetti di imposta Il soggetto attivo della imposta (inteso quale soggetto titolare della obbligazione tributaria, a cui la legge conferisce la potestà impositiva) è il COMUNE.

I soggetti passivi della imposta (ossia, tutti quei soggetti che il Legislatore considera obbligati al pagamento di un tributo) sono individuati dall’art. 9 del d.lgs. n. 23/2011 nel proprietario, ovvero nel titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e superficie secondo le quote di possesso. Sono soggetti passivi anche il locatario del bene immobile nel caso di locazione finanziaria e il concessionario nelle ipotesi di concessioni demaniali.

 

L’ACCERTAMENTO IMU (CASO PRATICO)

L’AVVISO DI ACCERTAMENTO

 

L’Ente Comunale X, con avviso di accertamento per l’imposta Municipale Propria (IMU) n. 00000 del 19/11/2019, notificato in data 11/01/2020 al sig. Tizio, qualificato erede, ha accertato nei confronti del contribuente Caio, deceduto in data 11/01/2017, l’omesso versamento della imposta IMU per l’anno 2014, con riferimento alle unità immobiliari da questi possedute nell’annualità 2014, per il recupero complessivo, in base alle risultanze scaturite dal calcolo della imposta dovuta, della somma pari ad euro 7.907,59 (comprensiva di interessi).

All’avviso di accertamento, composto dal “DETTAGLIO ACCERTAMENTI”; “DETTAGLIO INTERESSI” e “DETTAGLIO IMMOBILI SOGGETTI ALL’IMPOSTA”, è allegato MOD. F24 semplificato intestato al sig. Tizio, si legge: “Coobbligato contribuente Caio”, per la somma di euro 1.978,00.

 

IL CONTENZIOSO

IL RICORSO (ART. 18 D.LGS. n. 546/1992)

 

Tizio ha impugnato il detto avviso di accertamento proponendo ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, con istanza di sospensione ex art. 47 D.LGS. n. 546/1992 e contestuale istanza di reclamo/mediazione ex art. 17 bis D.LGS. n.546/1992.
La preliminare ricostruzione dei fatti in ricorso Il ricorrente Tizio ha offerto alla Commissione la seguente preliminare ricostruzione dei fatti:

1.- In data 11/01/2017 è deceduto il contribuente Caio, che, con testamento olografo del 02/01/2007, ha disposto del suo intero patrimonio in favore della moglie Mevia e dei suoi cinque figli Tizio (ricorrente), Sempronio, Caio 1, Mevia 1, Mevia 2;

2.- Le uniche disposizioni testamentarie a titolo universale ivi contenute sono quelle relative alla moglie Mevia (si legge “al coniuge spetta un quarto del valore” – pag.na 3 del testamento) e al figlio Sempronio (si legge “a mio figlio Sempronio…. la quota “disponibile e legittima” – pag.na 4 del testamento);

3.- Le disposizioni testamentarie in favore di Tizio (ricorrente) sono a titolo particolare, in quanto attributive della proprietà di singoli beni, e precisamente: BENE 1; BENE 2 e BENE 3;

4.- In data 21/06/2017 è stata presentata denuncia di successione ed effettuata accettazione tacita di eredità;

5.- I detti beni sono stati alienati da Tizio, in virtù di distinti atti pubblici;

6.-  In data 22/01/2018 è deceduta la sig.ra Mevia, la quale, con testamento olografo del 29/06/2017, ha legato (in sostituzione della sua quota di legittima) in favore del ricorrente Tizio il BENE 4, ereditato dal marito defunto Caio;

7.- In data 15/02/2019 è stata dichiarata e registrata la denuncia di successione e trascritto il relativo certificato;

8.- Con atto pubblico di compravendita del 15/04/2019, Tizio ha alienato il detto BENE 4, ricevuto in legato dalla madre defunta.

Il motivo di impugnazione 1.- Nullità dell’avviso di accertamento: 

  1. a) per erronea qualificazione del ricorrente quale “Erede – Coobbligato”

Con tale motivo di ricorso è dedotta la erronea notifica dell’avviso di accertamento impugnato, notificato al sig. Tizio, in qualità di erede del contribuente defunto Caio.

È dedotta, infatti, la dimostrazione per tabulas che il sig. Tizio, quale destinatario di attribuzioni di beni singolarmente individuati, NON può qualificarsi erede a titolo universale, neppure pro quota, ma un mero avente causa del de cuius a titolo particolare, in forza di atto di liberalità successoria.

Con riferimento poi, al BENE 4, il ricorrente si avvale della dimostrazione per tabulas che, tale bene, ereditato da Mevia dal coniuge defunto Caio, in virtù del testamento olografo sopra richiamato, è stato poi legato, in sostituzione di legittima, in suo favore.

È, pertanto, eccepita la nullità dell’avviso di accertamento impugnato, in quanto Tizio NON può qualificarsi erede del contribuente defunto, né, quindi, ritenersi coobbligato.

In quanto legatario, Tizio non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari (Art. 756 c.c.).

Il legatario NON risponde ai sensi dell’art. 756 c.c. dei debiti ereditari, neppure, entro i limiti dei beni attribuitigli e NON è investito della c.d. rappresentanza ereditaria (Cfr. Cass. Civ., sezione II, sentenza n. 5550 del 21/03/2016).

  1. b) per indeterminatezza di calcolo

È dedotta la illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato, sotto il profilo del metodo di determinazione della imposta richiesta a Tizio, nella presunta ed erronea qualità di erede, solo nel Mod. F24 ad esso allegato.

L’avviso di accertamento, infatti, NON specifica in alcun modo la determinazione della somma di euro 1.978,00, richiesta in pagamento nel detto Mod. F24.

Per la precisione, è evidenziato, che, in avviso, sezione “DETTAGLIO ACCERTAMENTI” è accertato un importo totale dovuto (comprensivo di interessi) pari ad euro 7.907,59, e che poi nel modello F24 (riportante nella sezione contribuente i dati anagrafici, il codice fiscale del defunto Caio ed il codice fiscale di Tizio, quale coobbligato – nella intestazione si legge: “Accertamento IMU 2014 Coobbligato Tizio”) è richiesta la somma di euro 1.978,00.

Le conclusioni
Il ricorrente, ha concluso, affinché la Commissione adita, previa sospensione della esecutorietà della riscossione dell’avviso di accertamento impugnato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 47 del D.L.GS. 31.12.1992 n. 546, nonché previa fissazione e comunicazione dell’udienza di comparizione delle parti, Voglia adottare i seguenti provvedimenti:

[A] in via preliminare sospendere l’efficacia dell’avviso di accertamento impugnato, sussistendone i presupposti di legge, onde evitare l’esposizione del ricorrente a procedure esecutive che potrebbero arrecargli grave pregiudizio;

[B] nel merito, accertare e dichiarare nullo e/o inefficace l’avviso di accertamento impugnato, non essendo Tizio tenuto al pagamento dei debiti ereditari ex art. 756 c.c.;

[C] in ogni caso, con vittoria di spese e compensi del presente procedimento, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, CPA ed IVA.

Con riserva di produrre ulteriori documenti e memorie. È formulata istanza di trattazione in pubblica udienza ex art. 33 D.LGS. n.546/92 e proposta di mediazione ex art. 17 bis D.LGS. n. 546/92.

 

LA MEDIAZIONE (ART. 17 D.LGS. n. 546/1992)

 

In sede di mediazione, preliminare al deposito del ricorso, l’Ufficio, calcolando la percentuale da attribuire a Tizio, attribuendo 1/3 (33,35%) dei cespiti di proprietà del de cuius Caio alla moglie Mevia e i restanti 2/3 (13,33%) in parti uguali ai 5 figli e calcolando la percentuale da attribuire ai 4 figli di Mevia sulla quota ad essa spettante, quale coniuge del de cuius Caio= (33,35/4 = 8,34%), ha rideterminato l’importo dovuto da Tizio, sul totale dovuto dal de cuius Caio, in euro 1.508,90, oltre interessi per euro 27,91, per un Totale di euro 1.537,00.

Il ricorrente Tizio, con nota del 03/06/2020, ha riscontrato in senso negativo la descritta proposta, evidenziando che la rideterminazione della imposta dovuta dal de cuius Caio non tiene conto delle doglianze espresse nel ricorso e della documentazione prodotta a suo corredo. Conclusasi, quindi, la mediazione, si è provveduto al deposito del ricorso.

 

LA COSTITUZIONE IN GIUDIZIO DELLA PARTE RESISTENTE

 

Tizio ha impugnato il detto avviso di accertamento proponendo ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, con istanza di sospensione ex art. 47 D.LGS. n. 546/1992 e contestuale istanza di reclamo/mediazione ex art. 17 bis D.LGS. n.546/1992.
Sul punto (a) del riscorso – Per erronea qualificazione del ricorrente quale “Erede-Coobbligato. L’Ente impositore, costituitosi in giudizio, ha sostenuto che la semplice attribuzione di singoli bene non determina automaticamente la qualità di legatario, come indicato nell’art. 588 del cc, quando non sia espressamente previsto nel testamento.

Inoltre, ha sostenuto che, l’art. 756 cc. si riferisce ai debiti di carattere generale e che per i debiti di carattere tributario, come nel caso de quo, qualora ci sia l’accettazione dell’eredità, bisogna far riferimento all’art. 65 del DPR 600/73, il quale recita: Gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa. Gli eredi del contribuente devono comunicare all’ufficio delle imposte del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale. La comunicazione può essere presentata direttamente all’ufficio o trasmessa mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si intende fatta nel giorno di spedizione. Tutti i termini pendenti alla data della morte del contribuente o scadenti entro quattro mesi da essa, compresi il termine per la presentazione della dichiarazione e il termine per ricorrere contro l’accertamento, sono prorogati di sei mesi in favore degli eredi. I soggetti incaricati dagli eredi, ai sensi del comma 2 dell’articolo 12, devono trasmettere in via telematica la dichiarazione entro il mese di gennaio dell’anno successivo a quello in cui è scaduto il termine prorogato. La notifica degli atti intestati al dante causa può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione di cui al secondo comma.

Sul Punto (b) del ricorso – Per indeterminatezza di calcolo L’ufficio fa presente che l’importo totale IMU dovuta, è stato calcolato con riferimento all’intero asse ereditario, mentre l’importo indicato nel Mod. F24 è la quota parte del coerede.
Le conclusioni
L’ufficio, sulla base delle difese illustrate, ha concluso per il RIGETTO del ricorso, con vittoria di spese.

 

LE REPLICHE (ART. 32 comma III D.LGS. n. 546/1992)

 

La inesatta interpretazione dell’art. 588 c.c. L’ufficio offre una inesatta interpretazione dell’art. 588 c.c.

Proprio in virtù di tale disposizione normativa, il ricorrente evidenzia che NON può non riservarsi il dovuto rilievo alle affermazioni contenute a pag.na 4 del testamento olografo, e precisamente: “lascio a mio figlio Sempronio… “la quota disponibile “e legittima” …”.

Il defunto Caio ha inteso assegnare quei beni al figlio Sempronio come quota del suo INTERO patrimonio, rilevando proprio tale intenzione in termini di qualificazione della disposizione testamentaria a titolo universale ex art. 588 c.c. L’attribuzione della quota disponibile e legittima del suo INTERO patrimonio vi è ESCLUSIVAMENTE con riferimento alla attribuzione di beni disposta dal testatore in favore del figlio Sempronio.

I richiami giurisprudenziali Secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 c.c., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli individuati beni, così che l’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva interpretato come disposizione a titolo universale l’attribuzione testamentaria di beni determinati, valorizzando, sia il fatto che al beneficiato fosse stata assegnata la generalità dei beni mobili, oltre che la quota di un immobile, sia le peculiari espressioni allo stesso riservate dal testatore, attestanti un trattamento, sul piano del riconoscimento affettivo, differente rispetto a quello destinato agli altri soggetti indicati nel testamento) – (Cfr. Cass. Civ. Sez. VI, n. 6125 del 05/03/2020).
La normativa di cui all’art. 65 del DPR n. 600/1973 Ferma la qualifica di legatario del ricorrente, si è osservato, in replica alle difese dell’Ufficio, che la normativa di cui all’art. 65 del DPR 600/1973, richiamata, NON è applicabile al caso di specie, poiché NON discutendosi di imposte sui redditi, NON può affermarsi la solidarietà nel debito d’imposta di tutti i coeredi.

Si deduce che la regola speciale di solidarietà nel campo dei tributi diretti posta dall’art. 65 D.P.R. n. 600/1973, è predisposta soltanto per i debiti contratti dal de cuius relativamente al mancato pagamento delle imposte sui redditi.

Con la sentenza n.22426/2014, la Suprema Corte di Cassazione, ha motivato che in mancanza di norme speciali in campo fiscale che deroghino alla richiamata disposizione normativa, deve essere applicata la comune regola della ripartizione dei debiti ereditari pro quota di cui agli artt. 752 e 1295 c.c.

Pertanto, ad esclusione della specificità delle imposte dirette e delle successioni, a meno che la legge non disponga diversamente, gli eredi sono responsabili pro quota e ciò vale non solo per l’imposta di registro, ma anche per gli altri tributi come ad esempio IVA, IMU e TASI. Peraltro, occorre ricordare che già con la sentenza n. 67 del 20/03/1985, la Corte Costituzionale, ha ravvisato l’esclusione per le imposte indirette di una previsione generale della solidarietà passiva, che ricorre invece per le imposte dirette, la cui diversa disciplina è giustificata dall’essere la natura delle imposte dirette differenziata rispetto a quella delle imposte indirette, in quanto solo le prime, e non anche le ultime, sono strutturate come prelievo diretto sul reddito. Pertanto, la mancata previsione di una norma dal tenore analogo per le imposte indirette non viola il principio di uguaglianza, stante la diversa natura dei due tributi. Sull’argomento occorre anche ricordare la giurisprudenza di merito, la quale, parimenti a quella di legittimità, ESCLUDE nella imposizione indiretta la sussistenza della solidarietà passiva tra gli eredi del contribuente.

In particolare, la Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza n. 2957 del 12/05/2014, ha rigettato l’appello dell’A.E., confermando la sentenza di prime cure che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto da un erede nei confronti di un avviso di liquidazione con cui l’ente impositore aveva proceduto, con riguardo a un atto di compravendita stipulato dal de cuius, al recupero delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, secondo tassazione ordinaria, stante la decadenza dalle agevolazioni ex art. 1 Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/1986. Investito del gravame, il giudice di secondo grado non ha condiviso la tesi prospettata dall’Amministrazione finanziaria circa la responsabilità solidale degli eredi ex art. 65 D.P.R. 600/1973, affermando, sulla scorta della sentenza n. 24657 del 28/11/2007 (confermante la regola della ripartizione automatica prevista solo per i debiti dall’art. 752 c.c.), che nel codice civile manca una norma specifica in tema di crediti ereditari, mentre gli artt. 752 e 754 si occupano della incidenza dei debiti ereditari nei rapporti tra coeredi. L’art. 752 c.c. impone ai coeredi di contribuire al pagamento dei debiti ereditari SENZA vincolo di solidarietà, ciascuno in proporzione della propria quota, salvo che il testatore non abbia diversamente disposto. Secondo, poi, la regola generale sancita dall’art. 1295 c.c., salvo patto contrario, i debiti ereditari si dividono tra gli eredi in proporzione delle rispettive quote.

Sul metodo di determinazione della imposta In replica alle difese dell’Ufficio, è reiterata la eccezione di illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato sotto il profilo del metodo di determinazione dell’imposta richiesta a Tizio – nella erronea qualità di erede – SOLO nel Mod. F24 allegato all’impugnato avviso di accertamento. Nel controdedurre sul punto, l’ufficio NON solo cade in evidente contraddizione con quanto affermato in tema di solidarietà passiva delle obbligazioni tributarie, ma finisce per confermare la erroneità di fondo dell’accertamento, espletato nella totale “ignoranza” delle disposizioni testamentarie, ad esso (ufficio) ben note.

 

LA DECISIONE DELLA CONTROVERSIA

 

 

IL DATO NORMATIVO E L’APPROFONDIMENTO GIURISPRUDENZIALE

LA NORMATIVA

  • 588 e ss. c.c.;
  • 756 c.c.;
  • DPR n. 600/73 (Art. 65).

LA GIURISPRUDENZA

  • , civ. sez. II, del 21 marzo 2016, n. 5550 “In tema di disposizioni testamentarie”

Il principio di diritto:

L’assegnazione di beni determinati deve interpretarsi, ai sensi dell’art. 588 cod. civ., come disposizione ereditaria (institutio ex re certa), qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una parte indeterminata di essi, considerata in funzione di quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato, se abbia voluto, invece, attribuirgli, singoli individuati beni; e l’indagine diretta ad accertare se ricorra una o l’altra ipotesi, si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito, ed è, quindi, incensurabile in cassazione, se sia motivato congruamente (ex multis Cass. n. 24163 del 25/10/2013).

La fattispecie:

Nella specie, la Corte d’appello, contrariamente a quel che si afferma nel motivo di ricorso, si è adeguata a questa giurisprudenza, avendo ritenuto che il de cuius aveva voluto nominare suoi eredi, moglie e figlio e aveva voluto istituire un legato a favore del proprio fratello Tullio, attribuendo, a questi, determinate quote immobiliari di sua proprietà, nel paese di origine, con una motivazione, insindacabile in sede di legittimità, perché esauriente, logica e immune da errori di diritto.

Ed, infatti, la Corte distrettuale è pervenuta a questa conclusione: osservando che “(…) dalla scheda testamentaria si evinceva che il de cuius aveva lasciato tutti i beni mobili ed immobili esistenti nel Comune di C, compresa la fabbrica di pantofole, a figlio e moglie, e attribuendo le quote di sua proprietà sugli immobili siti nel C.C. di Piano, al fratello Tullio; considerando che più che una divisione testamentaria si trattava in realtà di un’attribuzione di beni singolarmente individuati in favore del fratello e dell’istituzione di eredi di figlio e moglie; in effetti, dopo l’assegnazione della sostanza immobiliare nel CC. di Piano al fratello enunciata in prima disposizione quasi a sottolineare il carattere a se stante, il testatore effettua l’attribuzione dei residui beni siti in S a moglie e figli indicandoli quali suoi eredi.

E, la Corte distrettuale, aggiunge che moglie e figlio sono gli eredi legittimi ai quali vengono assegnati tutti i beni indistinti mobili ed immobili siti in S, mentre al fratello l’attribuzione riguarda singoli beni determinati, ossia la quota di beni immobili siti in Piano. Egli non ha attribuito, al fratello, una quota del proprio patrimonio unitariamente considerato, cosa, invece, avvenuta nei confronti di moglie e figlio che egli individua come suoi eredi”. Non solo, ma la Corte distrettuale specifica che la conclusione cui è pervenuta non è solo sorretta dal dato testuale, posto che il de cuius indica espressamente quali eredi, moglie e figlio, ma dall’indagine soggettiva sull’intenzione del testatore (…) apparendo di tutta evidenza la volontà del de cuius di attribuire in quote determinate, al figlio e alla moglie, che erano la sua famiglia, anche in un’ottica di continuità dell’attività imprenditoriale intrapresa, tutta la sua sostanza costituita dalla fabbrica di S, dagli immobili e dai beni mobili (denaro), all’epoca di valore assai più importante, rispetto alle quote di comproprietà sugli immobili siti nel paese di origine, che ha lasciato al fratello, mentre l’onere di assistenza alla madre presso la sua abitazione imposto al fratello sembrerebbe posto come contropartita al legato: Né, a diversa conclusione porta la previsione dell’obbligo imposto agli -eredi” di versare in favore della madre l’importo annuo di £. 300.000, ben diverso dall’onere d’assistenza imposto al fratello.

E di più, La Corte distrettuale specifica che non era condivisibile la tesi dell’appellante (odierno ricorrente) secondo la quale sussisterebbe profonda simmetria delle attribuzioni destinate a tre successori perché appare di solare evidenza che il de cuius aveva inteso retro lasciare ai suoi eredi moglie e figlio il frutto del lavoro di una vita, tutto quanto aveva fino ad allora conseguito, riservando al fratello la quota di beni nel paese natio di valore ben inferiore costituiti da fondi rurali e di un immobile (….).

È di tutta evidenza, pertanto, che la Corte distrettuale: 1) non solo ha valutato le espressioni che componevano la scheda testamentaria; 2) ma, si è fatta carico di accertare quale fosse l’effettiva volontà del testatore, considerando congiuntamente l’elemento letterale e quello logico così come emergeva dai dati reali acquisiti al giudizio e dalla stessa scheda testamentaria; 3) e di più, ha vagliato e valutato le tesi sostenute dall’appellante, odierno ricorrente.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia l’omessa e insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi ai fini del giudizio con particolare riferimento al credito del sig. PM nei confronti della massa ereditaria. Secondo il ricorrente, sarebbero errate le motivazioni con le quali la Corte distrettuale avrebbe escluso l’esistenza di un suo diritto di rivalersi verso la massa ereditaria e quindi pro quota verso TP, sia perché TP dovrebbe essere considerato erede e sia perché, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, l’attuale ricorrente ha da sempre eccepito l’esistenza di un credito certo e documentato maturato nei confronti del di lui padre, anteriormente al decesso di quest’ultimo.

Anche questo motivo è infondato. Va qui premesso che il legatario non è erede, ma avente causa, poiché succede a titolo particolare, peraltro, in forza di un atto di liberalità successoria; come tale, egli non risponde, di regola e, ai sensi dell’art. 756 cc., dei debiti ereditari, neppure, entro i limiti dei beni attribuitigli e, in genere, non è investito della c.d. rappresentanza ereditaria (attribuita, invece, all’erede). Il legatario può essere soggetto ai pesi imposti sul legato, e in questo caso risponde intra vires, ovvero nei limiti del valore di quanto ricevuto.

Tuttavia, va considerato che i creditori ereditari possono soddisfarsi anche sul legato di specie in due casi specificatamente previsti dalla legge: nel caso di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario ed insufficienza dell’asse ereditario: i creditori rimasti insoddisfatti hanno azione di regresso contro i legatari nella misura in cui siano già stati pagati (art. 495 comma 2 cod. civ.); egualmente i creditori possono esercitare il diritto di separazione anche rispetto ai beni che hanno formato oggetto di legato di specie (art.513 cod. civ.).

Ora, nel caso in esame TP, come affermato dalla Corte distrettuale, nella vicenda successoria di PP era un legatario e, dunque in tale qualità, non risponde dei debiti ereditari e, neppure, http://www.fanpage.it/diritto 3 dunque, del debito che la massa ereditaria avrebbe, secondo il ricorrente, nei confronti dello stesso (di MP).

Nel caso in esame, poi, non risulta né dalla sentenza, né dal ricorso che sussista una delle ipotesi di cui all’art. 495 secondo comma cc e/o all’art. 513 cod. civ. In definitiva, il ricorso va rigettato.

  • , civ. sez. VI, del 05/03/2020, n. 6125 “Distinzione tra erede e legatario”

Il principio di diritto:

In tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 c.c., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (“institutio ex re certa”) qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni, così che l’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva interpretato come disposizione a titolo universale l’attribuzione testamentaria di beni determinati, valorizzando, sia il fatto che al beneficiato fosse stata assegnata la generalità dei beni mobili, oltre che la quota di un immobile, sia le peculiari espressioni allo stesso riservate dal testatore, attestanti un trattamento, sul piano del riconoscimento affettivo, differente rispetto a quello destinato agli altri soggetti indicati nel testamento).

  • Tribunale – Vibo Valentia, 08/06/2020, n. 299 “Assegnazione di beni determinati: distinzione tra legato e successione a titolo universale”

Il principio di diritto:

L’assegnazione di beni determinati deve interpretarsi come disposizione ereditaria qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una parte indeterminata di essi, considerata in funzione del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se il testatore abbia voluto, invece, attribuirgli singoli individuati beni.

  • , civ., del 22 ottobre 2014, n. 22426 “In tema di DEBITI EREDITARI”

Il principio di diritto:

Con sentenza n. 22426 del 2 luglio 2014, depositata il 22 ottobre 2014, la sezione tributaria (sezione V civile) della Corte di Cassazione ha riaffermato il principio secondo cui i debiti tributari del contribuente defunto (nel caso di specie, imposta di registro) devono essere ripartiti tra gli eredi pro quota, salvo che il de cuius non abbia disposto diversamente. Si tratta, come noto, della regola comune stabilita dagli artt. 752, 754 e 1295 del Codice Civile, applicabile nei casi in cui, come quello in esame, non esista alcuna norma che preveda la responsabilità solidale degli eredi del contribuente defunto (conforme, Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenze n. 21982 del 25 settembre 2013 e n. 780 del 14 gennaio 2011; Comm. Trib. Reg. di Roma, sentenza n. 2957/35/14; Comm. Trib. Reg. di Bari, sentenza n. 5/02/09).

Il caso:

I giudici di legittimità hanno così accolto il ricorso di una coerede che era stata raggiunta da una cartella di pagamento emessa a seguito di una sentenza, passata in giudicato e quindi divenuta definitiva per mancata impugnazione, che aveva respinto il ricorso proposto dal genitore defunto contro un avviso di liquidazione e irrogazione di sanzioni. Con tale avviso l’ufficio aveva preteso di recuperare una maggiore imposta di registro.

I giudici tributari di merito (Comm. Trib. Reg. di Roma, sezione staccata di Latina, e Comm. Trib. Prov. di Latina), nel rigettare le doglianze sollevate dalla contribuente, avevano ritenuto che la cartella di pagamento oggetto di impugnazione fosse legittima e fondata.

Più precisamente la Commissione regionale, nel respingere l’appello, ha ritenuto fra l’altro che gli eredi soggiacciono alla responsabilità solidale del debito del contribuente defunto. Con diverse censure la contribuente ha rimesso la questione nelle mani dei giudici del Palazzaccio che, nel merito, hanno accolto il ricorso perché fondato.

In particolare la ricorrente ha insistito sui vizi di falsa applicazione dell’art. 65 D.P.R. n. 600/1973 e di violazione e falsa applicazione degli artt. 752, 754 e 1295 del Codice Civile. Secondo la tesi della contribuente, infatti, non trattandosi né di imposta di successione né di imposte dirette, bensì di debito ereditario conseguente al recupero nei confronti del genitore defunto di una maggiore imposta di registro, il Collegio regionale avrebbe errato a statuire che del debito fiscale oggetto della cartella di pagamento fossero solidalmente responsabili tutti gli eredi e non invece che gli stessi fossero responsabili soltanto pro quota in virtù dell’ordinaria regola stabilita dal Codice Civile. I giudici “con l’ermellino”, nel rafforzare il proprio precedente indirizzo, hanno condiviso la censura della ricorrente affermando espressamente che, in mancanza di norme speciali che vi deroghino, deve essere applicata la regola comune della ripartizione dei debiti ereditari pro quota sancita dagli artt. 752 e 1295 del Codice Civile. Questo perché – così gli Ermellini – al caso di specie non sono applicabili le regole speciali della solidarietà di cui al citato art. 65 del D.P.R. n. 600/1973, all’art. 36 del D.lgs. n. 346/1990 (TUS) e all’art. 57 del D.P.R. n. 131/1986 (TUR). Si tratta, come noto, di norme tributarie che, nella profonda sostanza, non possono essere applicate al caso in questione. E valga il vero.

La regola prevista dall’art. 65 del D.P.R. n. 600/1973 si applica ai debiti contratti dal contribuente defunto, ma con riferimento al mancato pagamento delle imposte sui redditi (IRPEF ed IRES). La regola stabilita dall’art. 36 del TUS opera per il pagamento dell’imposta di successione, mentre quella disciplinata dall’art. 57 del TUR, pur riguardando l’imposta di registro, non si applica agli eredi del contribuente defunto. Sicché, come riconosciuto esplicitamente dai giudici di piazza Cavour nella sentenza in rassegna, tra gli eredi v’è soltanto l’esistenza di obbligazioni parziarie, ai sensi degli artt. 752, 754 e 1295 del Codice Civile. In tale ottica è utile rimarcare il principio, stabilmente enunciato dalla Corte di Cassazione (per tutte, sezione terza civile, sentenza n. 8405 del 10 aprile 2014), in base al quale l’art. 754, secondo cui gli eredi rispondono dei debiti del de cuius, in relazione al valore della quota nella quale sono stati chiamati a succedere, deve essere interpretato nel senso che il coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario ha l’onere di indicare al creditore questa sua condizione di coobbligato passivo, entro i limiti della propria quota, con la conseguenza che, integrando tale dichiarazione gli estremi dell’istituto processuale della eccezione propria, la sua mancata proposizione consentirebbe al creditore di chiedere legittimamente il pagamento della somma integrale. Naturalmente nessuna pretesa può essere esercitata nei confronti del soggetto privo della qualità di erede, cioè del soggetto che abbia espressamente rinunciato all’eredità. Né lo status di erede sia diversamente acquisibile in ragione di atti e fatti che non siano inequivocabilmente espressivi di accettazione tacita dell’eredità (art. 476 del Codice Civile). Al riguardo si segnala la recente sentenza n. 2100/35/14 con la quale la Comm. Trib. Reg. di Bari, sezione staccata di Lecce, ha ritenuto che non rientrano le circostanze che alcuni soggetti possano aver presentato la denuncia di successione o la dichiarazione dei redditi (modello Unico o modello 730) del contribuente defunto. Tali adempimenti fiscali, al pari della richiesta di registrazione dell’eventuale testamento, non sarebbero idonei a manifestare in modo certo l’intenzione univoca di assumere la qualità di erede. Infine, nell’economia del discorso, non possiamo fare a meno di ricordare che la notifica di un avviso di accertamento o di liquidazione intestato al contribuente defunto ed effettuata direttamente nei confronti degli eredi presso il loro indirizzo è da ritenersi insanabilmente nulla, giacché, in difetto della comunicazione prevista dall’art. 65 del D.P.R. n. 600/1973, gli atti intestati al dante causa possono essere notificati nell’ultimo domicilio dello stesso, ma devono essere diretti agli eredi collettivamente e impersonalmente.

Infatti, secondo il consolidato orientamento della sezione tributaria della Corte di Cassazione, l’inosservanza di tale procedimento notificatorio, incidendo sul rapporto tributario perché relativo a un soggetto non più esistente (contribuente defunto), implica la nullità insanabile della notifica e quindi dell’avviso di accertamento o di liquidazione (fra le ultime, sentenza n. 26718 del 29 novembre 2013).

  • Precedenti di merito

In particolare, la Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza n. 2957 del 12/05/2014, ha rigettato l’appello dell’A.E., confermando la sentenza di prime cure che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto da un erede nei confronti di un avviso di liquidazione con cui l’ente impositore aveva proceduto, con riguardo a un atto di compravendita stipulato dal de cuius, al recupero delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, secondo tassazione ordinaria, stante la decadenza dalle agevolazioni ex art. 1 Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/1986.

Investito del gravame, il giudice di secondo grado non ha condiviso la tesi prospettata dall’Amministrazione finanziaria circa la responsabilità solidale degli eredi ex art. 65 D.P.R. 600/1973, affermando, sulla scorta della sentenza n. 24657 del 28/11/2007 (confermante la regola della ripartizione automatica prevista solo per i debiti dall’art. 752 c.c.), che nel codice civile manca una norma specifica in tema di crediti ereditari, mentre gli artt. 752 e 754 si occupano della incidenza dei debiti ereditari nei rapporti tra coeredi.

L’art. 752 c.c. impone ai coeredi di contribuire al pagamento dei debiti ereditari SENZA vincolo di solidarietà, ciascuno in proporzione della propria quota, salvo che il testatore non abbia diversamente disposto.

Secondo, poi, la regola generale sancita dall’art. 1295 c.c., salvo patto contrario, i debiti ereditari si dividono tra gli eredi in proporzione delle rispettive quote: “I debiti ereditari, secondo la regola generale ex art. 1295 c.c., per la quale, salvo patto contrario, si dividono tra gli eredi in proporzione delle rispettive quote – conclude la Commissione regionale – non entrano a far parte della comunione ereditaria. Ne consegue che tra i coeredi non si crea alcun vincolo di solidarietà passiva ed il creditore del de cuius può agire nei confronti dei coeredi in proporzione alla quota di ciascuno, gravando su di lui il rischio della insolvenza dei singoli debitori”.

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